{jcomments on}C’è chi ha atteso questo evento per anni: è uscito il nuovo album discografico di Gil Scott-Heron, I’m New Here. Dalle nostre parti, quando si parla di poeti-performer e poesia pop dove parole dette e suoni suonati stanno insieme, non è infrequente lamentare l’appiccicaticcio. I’m New Here torna a piantare un robusto paletto sulle relazioni necessarie che possono intercorrere fra parola detta e discorso musicale quando si trovano a condividere un unico spazio-tempo di esecuzione. Tra poco arriva anche Regie Gibson sul palco del Binario 7, e farà sicuramente il paio.
Gil Scott-Heron è una vera e propria icona per generazioni di rappers, da quando verso la fine degli anni Sessanta diede vita al cosiddetto spoken word,
in cui testo poetico e accompagnamento musicale si intendono intimamente e manifestamente intrecciati: «C’è una grande differenza tra mettere parole sopra qualche musica, e fondere quelle parole nella musica» è forse una delle più note citazioni di questo grande artista, tutto sommato marginale rispetto ai trend commerciali (e nonostante abbia scalato alla grande le classifiche Rhythm&Blues a metà anni Settanta), ma assolutamente centrale quanto alla capacità di influenzare culturalmente le schiere di performer che l’hanno eletto a maestro.
La sua ultima uscita discografica accade dopo 13 anni di silenzio, imposti anche da eventi collaterali, quali guai con le droghe da un lato, e con la giustizia dall’altro, che non avrebbe esitato a cogliere la ghiotta opportunità, secondo i più maliziosi, per fargli pagare anni di militanza nei movimenti attivisti afroamericani e dure contestazioni ai vari potentati di turno. Tanti 13 anni, anche per uno come lui non certo incline a sfornare album a getto continuo.
Per me è questa l’occasione per entrare in contatto con la sua poetica per la prima volta, dopo aver tenuto per tanto tempo l’appunto nella lista semi-conscia delle cose da vedere assolutamente. Consiglio caldamente chi ancora fosse nella condizione in cui ero anch’io fino a poche settimane fa, di visitare sicuramente http://gilscottheron.net/ dove, dopo le anticipazioni della prima ora, qualcosa si può ancora ascoltare di I’m New Here. You Tube è un altro ricco contenitore dei più importanti successi del nostro, clippati da vari “videoartisti” in modi talora intriganti, talaltra sciaguratamente naïf. Non si perda, almeno, The Revolution Will Not Be Televised, del 1974, ascoltata la quale sarà lampante l’ascendenza dell’autore sull’allora nascente rap, e il cui testo integrale è online qui: http://historyisaweapon.com/defcon1/herontelevised.html
Va detto innanzitutto che il 61enne Gli Scott-Heron è un poeta con una notevole formazione musicale alle spalle, tanto jazz, e tanto R&B, che trasuda sì dal gusto degli arrangiamenti, o dagli archi melodici dei brani più spiccatamente “canzone” (si vedano I’ll Take Care Of You, Me And The Devil, Your Soul And Mine), ma soprattutto dalla metrica di ogni singolo verso, e dal soppesare con la voce (che timbro!) l’intima essenza ritmica della frase. Sembra banale dirlo, ma laddove alla voce Scott-Heron sottrae la tensione della melodia, non rinuncia mai all’arte sapiente di incastonare il concatenarsi delle parole dentro le cellule della battuta musicale: lo spoken word è a tutti gli effetti un’unica campitura di tre componenti, parola, disegno percussivo, sound.
Il brano I’m New Here, che intitola l’intero album, è una cover di un cavallo di battaglia di un 44enne cantautore, Bill Callahan (in arte Smog), 2005, considerato uno dei migliori esponenti del cantautorato indipendente degli States. Ecco, si ascolti l’originale di Callahan, poi si veda come lo stesso riemerge spogliato di ossatura melodica e riportato alla superficie del detto-senza-mezzi-termini, per comprendere il tipo di operazione che Scott-Heron propone/ripropone, e che secondo me tocca il suo apice in New York Is Killing Me, dove per apice s’intende la pregnanza attribuita ai singoli suoni dello scabro arrangiamento che ne innerva la sommessa cantilena.
Intendiamoci: quest’ultima sortita di Scott-Heron non è una rivelazione tale da riscrivere la storia della “poesia in musica” degli ultimi quarant’anni. Però è sicuramente una bella lezione per chiunque pensasse di essersela inventata da sé quella storia, appiccicando qualche riff, e un simpatico ritmetto, e qualche tappetino di bassi profondi, e un paio di acidule distorsioni al proprio versificare “pallido e assorto”.