Si inaugura qui un piccolo progetto di ricerca attorno alle forme di scrittura poetica che risultano contaminate da vissuti al confine tra mondi distanti, come possono essere per l’attore quello del quotidiano e quello della costruzione performativa, in tutto l’arco di tensione che va dal laboratorio/spazio di prova al palcoscenico/spazio di rappresentazione, o per il migrante il mondo che si lascia e quello in cui si approda. In entrambi i casi la lingua ne è profondamente segnata, in misura più eclatante, certo, per il poeta migrante, o figlio di migranti, che vive una lingua-non-madrelingua; in misura più sottile per il poeta attore, che nel conflitto fra l’oralità della scena e il deposito scritturale della letteratura drammatica, gioca la sua professione, rimanendone inevitabilmente segnato quando si dedicasse lui stesso alla scrittura.
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