Una bella bottiglia di spumante contro la fiancata di un blog al varo. Quanta schiuma. Di parole. Che sapore avrà?
Se non si ha da dire nulla di nuovo, di interessante, di utile, meglio stare zitti. Se si è spinti sempre e comunque a parlare, pur di dire e non scomparire, ci si lancia verso le curvature del senso con l’acceleratore a tavoletta…
Umiltà o meno, è lecito presumere che la propria creatività sia tale non perché performa a getto continuo, ma perché sa sfruttare le anse della stasi.
Eppure vi sono luoghi dell’esistere in cui staccare ogni tanto sembra controproducente. Ti tagli fuori. Come nei blog.
Lo strumento blog in sé, per come è fatto, non sembra dar fiato al silenzio: quantità di accessi, conteggio dei commenti in una discussione, link scambiati, introduzione costante di nuovi post… I numeri hanno un peso recondito identico, se non superiore, a quello delle parole postate e spese.
Chi percepisce un fondo di disumanità nel professare il talento di avere sempre e comunque qualcosa di nuovo da dire, prova un sottilissimo senso di piacere quando incontra dei giorni saltati mentre legge un diario entrato in un libro per vie imperscrutabili. Giorni senza nulla da dire. Nemmeno al proprio più caro e discretissimo confidente.
Dunque, un blog rinnovato, che si riprogetta dalla testata ai piedi, che pare promettere di tornare alla carica con chissà quanto da dire giorno dopo giorno, contiene in sé qualcosa di disumano?
Da quando mi sono lasciato coinvolgere per la prima volta in questa forma di comunicazione, circa un paio d’anni fa, il mio attivismo tra alcuni blog letterari ha sempre avuto questa risonanza interiore, la sottile e impercettibile minaccia per una sorta di assuefazione-dipendenza. È bastato un mix di impegni lavorativi accavallati e di un corpo – temporaneamente, per fortuna – debilitato ed ecco scattare una cesura. Nove mesi fa sono “scomparso dalla rete”. Il vissuto emotivo è stato molto vicino a quello di quando avevo smesso di fumare. Un “basta” che si rimescola coi risentimenti: una sparizione va di pari passo coi sensi di colpa verso tutte le belle persone con cui si sono intrattenute relazioni, profonde o momentanee, scambi vivaci di idee, confronti arricchenti. Ma anche, a volte, intossicanti esibizioni intellettuali. Prendersi uno stop dai rapporti sociali, lo dico senza ombra di cinismo, può anche far sentire microgranuli di catrame che giorno per giorno si sfaldano dai bronchi.
Poi “il Dome” e gli amici di PoesiaPresente mi hanno proposto di prendere in mano le sorti del loro blog, anch’esso fermo da tempo: sembrava di stare un po’ come davanti ad una scatola in legno di Avana scuri, cicciotti, profumati, dimenticati in un cassetto, con una voce suadente che ti invita ad accenderne uno in compagnia. E al posto di quelle foglie di tabacco, ti immagini pressati e arrotolati con estrema cura i referti delle tue ultime analisi del sangue, di cui potevi anche andare soddisfatto, accostarsi alla fiammella dell’accendino, e via un tiro…
Dicono che riprendere un vizio perduto vada almeno di pari passo con una più elevata consapevolezza del medesimo. Ho disperato bisogno di aggrapparmi a questa credenza. Anche perché il paesaggio dei lit-blog è davvero esteso, virtuoso e viziato, e inquieto, come pochi altri; se aggiungere ancora una voce occorre, non sarà certo per gettare fumogeni in uno stadio vuoto.
Sarà per maturare, chissà, una consapevolezza di quelle scritture che l’incombenza del tacere intride.
Sarà, anche, per riaffermare che, laddove tante parole fanno la sostanza di una relazione fra le persone, un silenzio può diventare imbarazzante solo se a quelle parole manca il vizio del poetico. Ho ricordi di lunghi silenzi trascorsi insieme ad amici, una delle azioni più ristoratrici per chi incespica nella fatica di un senso da trovare, fatica di trovare parole che non spezzino, non spezzèttino il silenzio, ma vi ritrovino il fluire consono fra corpi e voci che agiscono, anche solo per barlumi, in un territorio dove manifestare il loro essere-una-cosa-sola, barlumi nel quotidiano dissociarsi tra parole, pensieri, azioni, corpi.
Mario Bertasa